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Indebito arricchimento della P.A.: l’ndennizzo spetta al professionista anche senza riconoscimento dell’ut


Ai fini dell’azione di indebito arricchimento il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito indispensabile, pertanto il lavoratore depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso (Corte di Cassazione, Ordinanza 21 luglio 2022 n. 22902).


Il principio è stato riaffermato dalla Suprema Corte in accoglimento del ricorso proposto da un architetto che aveva prestato per un periodo continuativo la propria attività lavorativa presso l’ Università di Napoli, senza mai ricevere compenso.
L’azione dello stesso era volta ad ottenere, dunque, la condanna dell’Ente al pagamento dell’indennizzo per indebito arricchimento.
La domanda proposta veniva respinta dalla Corte d’appello che, confermando la pronuncia del Tribunale, riteneva necessario il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’Università, riconoscimento insussistente nel caso in questione, non potendo ravvisarsi nel mero fatto della protrazione dell’attività e della sua utilizzazione, trattandosi di condotte non implicanti alcuna valutazione consapevole da parte dell’ente.


La Suprema Corte, di contro, censurando la sentenza della Corte distrettuale, per avere la stessa ritenuto risolutivo il mancato riconoscimento dell’utilitas da parte dell’Università, ha ritenuto fondato il ricorso proposto dall’architetto.
Sul punto il Collegio ha, in particolare, ribadito il principio sancito dalle Sezioni Unite secondo cui il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento; ne consegue che il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso.
Alla luce del suesposto principio la Cassazione ha, altresì, evidenziato che è illogico condizionare la decisione del giudice sul fatto obiettivo dell’arricchimento alla valutazione che ne faccia l’arricchito medesimo.

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